giovedì 28 maggio 2009

Aperitivo con Graziano Delrio e Alberto Bigi




Lunedì 1 giugno alle ore 19.00
presso "SOQQUADRO - Caffè+Cucina"
in Corso Garibaldi 31
(è la Caffetteria di Palazzo Magnani)

Aperitivo con

GRAZIANO DELRIO
(Sindaco di Reggio Emilia)
e
ALBERTO BIGI
(Candidato al Consiglio Comunale di Reggio Emilia per il Partito Democratico)

Una conversazione sul tema "Investire su giovani, cultura, terzo settore"

Conduce NICOLA FANGAREGGI
(Direttore di www.Reggio24ore.com)

domenica 24 maggio 2009

Intervista ad Alberto Bigi

ReggioNelWeb intervista Alberto Bigi, volto noto nel mondo giovanile e culturale reggiano, candidato a Consigliere Comunale per il Partito Democratico. “Il mio impegno politico dai Democratici di Prodi ad oggi. Troppi i portaborse dei politici in circolazione: una scorciatoia per far carriera e delle “braccia” a disposizione per i leader”.

ReggioNelWeb.it 23 Maggio 2009





ReggioNelWeb intervista Alberto Bigi, funzionario ARCI, musicista e autore, insegnante, giornalista e opinionista sportivo, conduttore radiofonico e televisivo, più recentemente organizzatore di eventi culturali e dirigente Arci. Alberto è stato dal 2002 al 2007 membro del CDA della Fondazione “I Teatri” di Reggio Emilia.

Proviene dell’area politica degli ex Democratici (L’Asinello) nelle cui liste venne candidato alle elezioni regionali del 2000.

Conosciuto per essere il curatore della programmazione spettacoli di Festa Reggio, del Fuori Orario e di numerosi eventi a Teatro e al Palasport, è un ulivista della prima ora, da sempre impegnato nel perseguire la realizzazione del progetto politico del Partito Democratico.

Per le elezioni amministrative del 6-7 giugno è candidato a Consigliere Comunale di Reggio Emilia nella lista del Partito Democratico.





Alberto, quando è cominciato e perchè il tuo primo impegno attivo in politica?

Nel movimento studentesco: erano anni di grande tensione. Non aderivo a un partito, ma simpatizzavo per la sinistra pur provenendo da una famiglia cattolica. Mio zio, il professor Mariano Bigi (purtroppo deceduto di recente), è stato presidente dell'O.F.S., l'Ordine Francescano Secolare. Ho una formazione un pò “mista” insomma. Nei Democratici di Prodi ritrovai un punto ideale di ricongiungimento al mio percorso iniziale e amici di differenti estrazioni politiche che hanno cercato di costruire ponti tra diverse culture, piuttosto che il contrario.



Sei stato fra i fondatori e militanti dei Democratici (L’Asinello) di Prodi a Reggio Emilia. Cosa ti è rimasta di quell’esperienza?

Prima di tutto la grande amicizia nata con alcune persone come me animate da passione civile e politica. Ho un bel ricordo della serietà e della coerenza di tanti tra coloro che ho conosciuto in quel movimento, della stima che mi hanno dimostrato sul piano personale e dell'apprezzamento che ho sentito per il mio impegno nel cercare di contribuire a superare divisioni manichee che hanno segnato in negativo gli ultimi decenni. Purtroppo quell'esperienza è terminata, del resto quando un movimento si fonde con un partito è inevitabile che il movimento ne soffra di più.



La Margherita prima e il Partito Democratico dopo hanno saputo intercettare e valorizzare correttamente la valenza politica che diede vita ai Democratici? Perchè secondo te?

Quelli che come me hanno creduto per primi alla prospettiva di un partito che fosse una sintesi di diverse culture riformiste, spesso si sono sentiti soli e poco ascoltati. In molti ricorderanno quando Parisi andò ad un congresso DS a dire “scioglietevi”. Non fu certo accolto da un ovazione... Parisi sbagliò i tempi di un affermazione non infondata. Veltroni però, due minuti dopo essersi dimesso pochi mesi fa ha affermato che il PD è nato con 10 anni di ritardo... Lascio a voi le conclusioni. Mi piacerebbe sentir fare autocritica da parte di chi il partito nuovo l'ha fatto, ma da l'impressione di non crederci troppo. Le scelte coraggiose sono vincenti se hanno slancio, se hanno il freno a mano inserito la gente se ne accorge.



Per quanto riguarda il tuo impegno extrapolitico, sei molto noto nel mondo giovanile reggiano. Quanto sono importanti i giovani per lo sviluppo di una comunità?

I giovani non sono importanti, sono il senso stesso dello sviluppo, dell'esistenza di una comunità. “Giovani” non si declina al futuro, si declina al presente. A volte ho quasi l'impressione che si voglia infierire togliendo anche un minimo di libertà individuale con provvedimenti di stampo proibizionista quando i giovani sono già oppressi dalla precarietà, da modelli di sviluppo neoliberisti che li penalizzano sistematicamente.

Non credo la soluzione sia adottare atteggiamenti rozzamente schematici che propongano rinnovamenti generazionali indiscriminati e a prescindere. Penso che il PD possa essere potenzialmente uno dei laboratori in cui elaborare formule originali per valorizzare i giovani in modo equilibrato ed utile prima di tutto per loro stessi, per farli tornare a sperare in una vita più felice di quella che non li aspetta di questi tempi.



Come hai dato concretamente in questi anni il tuo apporto ai giovani reggiani per una loro crescita formativa?

L'affetto che mi dimostrano tanti ex allievi (insegnavo musica) mi farebbe pensare di aver fatto qualcosa di buono. Riguardando ad alcuni progetti culturali che ho seguito, talvolta mi sono reso conto di essermi concentrato prevalentemente sul cercare di trovare spazi per la creatività. Non che sia sbagliato farlo, ma è altrettanto importante lavorare per procurare nuovi e sempre più aggiornati strumenti formativi.

Viviamo in un mondo che offre molte opportunità, anche teconologiche, i giovani devono essere aiutati nel cercare di sfruttarle al meglio. Avverto un senso di smarrimento, ma riscontro che non mancano energie positive e creative, un fatto peculiare di noi reggiani che deve essere alimentato dalle istituzioni, da tutta la comunità.



Quali lacune esistono ancora oggi nei confronti dei giovani da parte delle istituzioni locali?

Rispondo come ho risposto recentemente in un’altra sede. Qui da noi non manca attenzione ai giovani. Non è un fatto da dare per scontato, altrove non è cosi. Però non basta. Vanno messi al bando atteggiamenti sparagnini, il cercare di dare contentini con iniziative effimere e di facile presa che danno solo agli amministratori un consenso immediato e che si esauriscono nel momento stesso in cui si realizzano. Va investito molto, sempre di più, anche quando le risorse sono poche e l'investimento non è certo possa dare “rendimento immediato”. Una comunità che non investe sui giovani sta solo procrastinando la fine di se stessa.



Quali impegni principali porterai avanti una volta eletto in Consiglio Comunale?

Non starò con le mani in mano, non è da me. Romperò le balle, il futuro sindaco è avvisato! Se si crede ad un progetto si deve essere anche critici. Un progetto non lo si aiuta se va sempre bene quello che dice “il capo”. Berlusconi docet. Ma non solo lui purtroppo.

Permettetemi una piccola polemica: vedo un po’ troppi portaborse in circolazione in politica; pensavo fosse una figura destinata a sparire, ma purtroppo non è cosi. E' una scorciatoia per far carriera e un modo “facile” per i leader per avere semplici “braccia” a disposizione. Io non ho portaborse, ne lo sono mai stato di nessuno, né vorrei averne uno. Dovessi votare per me, lo farei anche solo per questo motivo.



Cosa ne pensi dello stato di salute della vita culturale reggiana e del terzo settore dal tuo osservatorio privilegiato?

E' necessario rinnovare un patto forte tra cultura e istituzioni. Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad un generale impoverimento della vita culturale nel paese. C'è l'urgenza di formare cittadinanza a partire dalla dimensione locale. Si deve reagire “alla base” ad una situazione nella quale la televisione ci inonda di robaccia “usa e getta”. Del terzo settore , del no profit, del volontariato, della promozione sociale, ci sarebbe davvero molto da dire. Visto il poco spazio mi limito ad una considerazione di fondo. Non valorizzarlo, non sostenerlo, nel nostro paese è un atteggiamento che io arrivo a ritenere in qualche modo “eversivo”. Lo dico da cittadino, non da esponente del terzo settore, e lo dico perchè in Italia non è di parte ma ha un valore essenzialmente civico sostenere una società dell'inclusione piuttosto che il modello individualistico e fai da te che ha fallito ovunque.

sabato 23 maggio 2009

Reggio nel Web intervista Alberto Bigi

Sul sito di Reggio nel Web http://www.reggionelweb.it/ troverete un intervista ad Alberto Bigi, candidato al consiglio comunale di Reggio Emilia nella lista del Partito Democratico e a sostegno della ricandidatura a sindaco di Graziano Del Rio

giovedì 21 maggio 2009

Costituito il Comitato Elettorale

Si è costitutito il
COMITATO ELETTORALE A SOSTEGNO DELLA CANDIDATURA DI ALBERTO BIGI
Ecco l'elenco dei nomi:

Benassi Giacomo
Ferrari Giovanni Andrea
Ferrari Roberta
Franceschini Federica
Grassi Mara
Montanari Livio
Motti Giuliana
Nardi Stefano
Notari Francesco
Parmiggiani Sandro
Ponzi Mauro
Prodi Rita
Riboldi Giorgia
Vollman-Shipper Sabine

Sono in arrivo ulteriori adesioni. Presto aggiornamenti in merito
su questo blog e sul gruppo di Facebook.

martedì 19 maggio 2009

No profit ed elezioni

Cliccate sul seguente link http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=No+profit+ed+elezioni&idSezione=3093
troverete un articolo di Mauro Ponzi che scrive con la consueta lucidità e autorevolezza di no profit ed elezioni. Un pezzo assolutamente da leggere! Nell'articolo si parla di "un panda" a voi, amici del gruppo, ormai ben noto!!! Parola d'ordine d'ora in poi, "salviamo il panda"!

sabato 16 maggio 2009

17 maggio appuntamento al REMIDA DAY

Il 17 maggio appuntamento al REMIDA DAY. Davanti all'Officina RE2000 (Via Ramazzini) banchetto del Circolo VII del PD. Venite a trovarci. Ci saranno anche i candidati alla Circoscrizione e i candidati al Consiglio Comunale, disponibili a dialogare.

giovedì 14 maggio 2009

Il ruolo delle istituzioni culturali

Ringrazio sentitamente Sandro Parmiggiani (curatore delle attività espositive di Palazzo Magnani) che mi ha consentito di pubblicare sul blog un interessante pezzo scritto un paio di anni fa, in occasione del decennale della sede espositiva della Provincia di Reggio Emilia. Parmiggiani parte naturalmente dal bilancio dell'attività specifica di cui si occupa con lusinghieri risultati, per poi formulare alcuni interessanti e a mio modo di vedere condivisibili pareri di ordine piu generali sul tema del rapporto cultura/istituzioni.
Mi riconosco in pieno in molte delle cose che Sandro afferma, in particolare riguardo alla centralità del ruolo delle istituzioni culturali in una comunità nel formare cittadinanza attiva; un tema sempre attuale e su cui ritengo opportuno non abbassare mai la guardia, evitando cedimenti al facile consenso, all'effimero nella peggiore delle ipotesi.


Le istituzioni come motori fondamentali dello sviluppo culturale.
L'esperienza di Palazzo Magnani
Sandro Parmiggiani

dal catalogo "Palazzo Magnani 1997-2007"

(...) Non spetta certo a me esprimere qui giudizi sui risultati di questi dieci anni di attività espositiva di Palazzo Magnani. Posso solo dire che, fin dall’inizio, chiara, e condivisa dalla Provincia, era la rotta che, molto naturalmente, intendevamo darci. Ci sembrò giusto che il nostro programma presentasse un insieme unitario e variegato di proposte espositive: mostre di arte moderna e contemporanea, e di arte antica – in quest’ultimo caso, soprattutto di artisti che avessero operato nella nostra realtà: di qui le due esposizioni dedicate a Munari e a Tiarini, e quella, a suo tempo progettata, ma purtroppo non ancora realizzata, di Luca Ferrari –; esposizioni di fotografia, che dovevano avere pari dignità rispetto a quelle di pittura e scultura, individuando fin dall’inizio la fotografia come filone da privilegiare, soprattutto nella declinazione di uno sguardo che sappia tenere assieme ricerca artistica e testimonianza etica sulla verità del mondo – subito verificammo come la fotografia abbia un pubblico giovane, appassionato, colto, e siamo particolarmente orgogliosi che le mostre da noi presentate abbiano fatto di Palazzo Magnani, come viene ovunque ampiamente riconosciuto, un punto di riferimento nel settore a livello nazionale e internazionale –; mostre dedicate a settori spesso marginali nelle scelte espositive, quali la grafica e i libri d’artista, e alla conoscenza di quei tesori segreti che sono le collezioni, passioni private che prima o poi inevitabilmente diventano pubbliche virtù.
Né Palazzo Magnani poteva dimenticare quegli artisti della propria terra che avevano operato con esiti significativi e non banalmente replicanti altre esperienze; occorreva tuttavia rivolgere loro un’attenzione fuori dagli schemi consolidati, farli uscire dalle mura soffocanti del localismo, anche attraverso la realizzazione di cataloghi di qualità che presentassero contributi, sguardi nuovi, che ne mettessero in luce il valore non meramente particolare o secondario sulla scena artistica nazionale. L’ispirazione di fondo, nella scelta concreta delle mostre da proporre, era ed è sempre stata quella di evitare il ghetto delle tendenze, o la presunzione di imporne una a discapito dell’altra. Non ha voluto essere, Palazzo Magnani, di tendenza, non ha inteso battere la grancassa per nessun movimento particolare, ha sempre creduto che le mode non possano che avere il fiato corto e che l’etichetta di “nuovo” non sia, di per sé, garanzia di qualità. Ha, invece, amato presentare artisti dimenticati o nel tempo oscurati, che comunque avevano avuto un ruolo, anche glorioso, che non poteva restare confinato al passato, artisti avvolti in un silenzio che tuttavia continuava a parlare. Abbiamo cercato di fare mostre di qualità che non avessero, come destinatario, un pubblico ristretto.
(...) Certo, operare all’interno della macchina pubblica, come in questi anni mi è capitato di fare, significa essere sottoposti ai vincoli e alle procedure della pubblica amministrazione; spesso i tempi si sono inevitabilmente allungati e dilatati, certe relazioni internazionali hanno rischiato di essere compromesse da lentezze e ritardi; tuttavia, alla fine, con
molta diplomazia e qualche escamotage, tutto è stato ricondotto nei binari prestabiliti. A questo proposito, se mi venisse chiesto che cosa sia stato Palazzo Magnani, ricorrerei a una metafora: Igor Sikorsky, ingegnere aeronautico russo, osservava che il calabrone riesce a volare a dispetto del rapporto tra la forma e il peso del suo corpo e la sua superficie alare. Palazzo Magnani è riuscito a vivere per dieci anni, e talvolta non so tuttora io stesso spiegarmi come sia riuscito a farlo. C’è qualche ulteriore motivo di fierezza che non posso tacere. Convinti che una mostra, una volta smantellata, può continuare a parlare nel tempo attraverso il volume che l’accompagna e la documenta, Palazzo Magnani ha sempre dedicato un’attenzione e una cura particolari, che talvolta a qualcuno possono essere parse maniacali, alla realizzazione dei propri cataloghi di mostra, sempre cercando di farne uno strumento di approfondimento culturale capace di restare nel tempo, come testimoniano l’importanza degli autori di nuovi testi, di quelli inseriti nelle antologie critiche e del materiale iconografico che ci siamo sforzati di reperire. Altrettanta attenzione, pur con mezzi esigui di cui mi vergognerei se fossi chiamato a indicarne la consistenza, abbiamo riservato alla comunicazione delle nostre mostre, giacché un’esposizione che non sia adeguatamente resa nota resta clandestina, non può svolgere la funzione per cui è stata pensata e realizzata. La promozione dell’attività didattica, l’idea di avvicinare i bambini, gli adolescenti, i giovani all’opera d’arte, di renderla loro familiare e necessaria, di divulgare i tanti possibili modi in cui si può fare arte, il tentativo di gettare semi che sboccino in un nuovo pubblico di visitatori, ci ha indotto a dedicare molti sforzi affinché le nostre mostre fossero ampiamente prima presentate agli insegnanti e successivamente visitate dalle classi di studenti.
(...) Né, in sede di bilancio di questi dieci anni, posso dimenticare i rapporti internazionali costruiti, all’inizio superando diffidenze, e poi consolidati sulla base di una progressiva conoscenza e fiducia reciproche, con musei e istituzioni pubbliche e private straniere e italiane, che hanno reso possibile l’ottenimento di importanti prestiti e la realizzazione di una parte significativa della stessa attività espositiva, e che hanno fatto sì che mostre di Palazzo Magnani siano state successivamente presentate in altre sedi – tra le altre, cito l’antologica di Ghirri che è andata a Parigi e a Winterthur; quella di Valdés che è stata poi a Siena e Girona; quella recente di Estes presentata, dopo Reggio, al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Analogamente, la grande esposizione di Edward Steichen che Palazzo Magnani ospiterà da aprile a giugno 2008 sarà prima a Parigi (Jeu de Paume) e Losanna (Musée de l’Elysée), e poi a Madrid (Reina Sofia), mentre la mostra in preparazione dedicata a Joan Mitchell effettuerà, dopo Reggio, tappe in alcuni importanti musei dell’Europa. Utilizzando una terminologia economica, Palazzo Magnani non è più un nome che non evoca nessuna
particolare memoria o immagine, ma un marchio, un brand, che ha acquisito una riconoscibilità e una stima diffuse. È l’insieme di queste considerazioni che mi porta a dire che, al di là di un non ancora avvenuto riconoscimento ufficiale, Palazzo Magnani può definirsi un’istituzione culturale vera e propria, che sempre ha inteso avere un respiro di durata, una capacità di presenza e di diffusione nel tessuto della comunità. È facile peccare di immodestia, ma debbo confessare che la forza segreta che in questi anni mi ha mosso, quella che mi ha fatto superare difficoltà e fatiche, non dare peso alle chiacchiere dei detrattori, al di là del piacere del rapporto con artisti, critici, storici, appassionati, sia stata l’idea che le mostre che andavamo realizzando potessero lasciare un segno in chi aveva modo di vederle, di prenderne in mano i cataloghi. (...) Se si guardano i numeri, ci si accorge che quasi la metà dei visitatori viene da fuori Reggio; con le nostre
esposizioni, abbiamo dato un contributo a portare il mondo a Reggio, e Reggio nel mondo. Insomma, anche ciò che Palazzo Magnani è venuto facendo poteva essere uno strumento per cambiare la qualità della vita, per diffondere un po’ di speranza nel futuro e di eguaglianza di opportunità, per aiutare le persone a conoscere se stesse e gli altri diversi da loro, per sapere leggere il passato e cogliere i segni del futuro che s’annuncia.
Personalmente, ritengo che le istituzioni siano i motori fondamentali dello sviluppo culturale; sono profondamente convinto che in una realtà contino esperienze solide, che hanno una loro continuità nel tempo – come quella, così innovativa e capace di segnare la società, che a Milano fu rappresentata dal Piccolo Teatro –, e che il loro ruolo non possa essere surrogato, ma solo integrato, dalla promozione di una qualche “notte bianca” o di una qualche rassegna che pigramente s’adegui a rispecchiare le mode, i gusti di certe fasce di pubblico.
Il futuro di Palazzo Magnani è tutto da scrivere, in un libro in cui non ci sono più solo pagine bianche; le ristrettezze della finanza pubblica richiedono un concorso solidale di altre forze, anche private. Nonostante Bob Dylan ci abbia insegnato che non è necessario un meteorologo per capire da che parte soffia il vento, non so cosa mi riservi il futuro. Al di là del mio ruolo, so comunque che per le persone c’è una sorta di destino, una vocazione cui sono chiamate a dare risposta, finendo per darsi da fare, nella loro vita, operando ostinatamente, in un certo mestiere che sentono il loro, senza mettere in conto fatiche, amarezze, incomprensioni, mancati riconoscimenti.
La passione e la determinazione che ho messo nell’attività svolta a Palazzo Magnani, quello che qui ho fatto, continueranno a essere il mio modo di esistere.

Sandro Parmiggiani

Alberto Bigi intervistato da Fabrizio Tavernelli

Alberto Bigi intervistato da Fabrizio Tavernelli
(intervista tratta dal volume Correggio Mon Amour)

Il tuo è un luogo strategico per osservare la creatività giovanile, Quali sono, secondo te, i diversi motivi che legano da tempo Correggio e la musica rock?
Correggio è in posizione strategica nel triangolo Bologna-Modena-Reggio. Il fenomeno rock, in particolare negli anni '80 e '90, si è diffuso e radicato molto in questa zona, non a caso evidentemente. Poi ci sono questioni più specifiche, che attengono anche a una vocazione tipica della provincia di Reggio che ne fa (da tempi lontanissimi) una sempre fertile terra di "orchestrali". Molti dei nostri nonni avevano una 'grande passione per la musica.
Su ciò si è innestata una particolare vocazione alla creatività, alla sperimentazione, all'attenzione al nuovo e dunque non soltanto alla tradizione "musicofila" o alla semplice voglia di suonare che è altrettanto peculiare delle nostre zone. Ne sono nati, nel corso degli anni '90, due filoni centrali del fenomeno rock Iocale, entrambi ugualmente radicati e con caratteristiche differenti, ma ugualmente significativi e importanti. Uno più "popolare", che s'incarna perfettamente nel successo non casuale di un personaggio come Ligabue e ancor prima in quello inossidabile di una band come i Nomadi (che in fondo sono nati anche loro nella bassa, a due passi da Correggio). Un altro filone è quello più "indipendente e sperimentale" che ha avuto in band come gli En Manque D'Autre e Afa dalle vostre parti, nella nascita del Maffia in città, nel consorzio dei Dischi del Mulo in montagna, alcune tra le principali espressioni creative e produttive di livello non solo locale. Insomma, Correggio è parte di un territorio vivace e può legittimamente candidarsi come protagonista storica del fenomeno rock nostrano. Tengo a latere, ma non perché meno significativo, il fenomeno dei musicisti che io definisco artigiani, vale a dire quei numerosissimi e valenti singoli che si sono fatti valere in qualità di "free lance". Fornili e Gianolio sono i primi due che mi vengono in mente per un fatto generazionale, ma ce ne sono diversi altri in provincia (e anche dalle vostre parti) che incarnano alla perfezione il ruolo di musicista in senso stretto, quello che per l'appunto non penso sia riduttivo definire "artigianale".

Quando e come è stato il primo approccio con Correggio?
Con la memoria devo tornare quasi alla preistoria, ma tracce di agganci correggesi sul piano personale sono numerosissimi fin dagli anni Ottanta. Quando iniziai a frequéntare Mondoradio, conobbi Patroncini e Bertolini due tra i protagonisti dei tempi migliori di quell'emittente radiofonica. Poi ho conosciuto Luciano (Ligabue) prima alla finale di Terremoto Rock e poi in Arci, quando lui era responsabile del settore spettacoli e io un semplice collaboratore dell'associazione. In seguito presi il suo posto, quando firmò il primo importante contratto discografico.

Hai lavorato a stretto contatto con la festa dell'Unità...
Sì, fu una parentesi importante per me. Lì ho imparato molte cose, ero alle prime armi e se non avessi avuto quella palestra e l'attenzione dei responsabili del festivaI di Correggio non sarei diventato il promoter che sono ora. Devo molto a Correggio, agli straordinari volontari di quel festivaI, a Ciupi, che secondo me è una sorta di eroe di quei tempi gloriosi. Se andate a rivisitare i programmi di quegli anni c'è da restare increduli, fatelo e ve ne accorgerete. A Correggio dovete molto a Guido e alla festa. Sono certo che voi correggesi ne siete consapevoli, anche se magari all'epoca non tutti erano d'accordo con quelle scelte coraggiose. I fatti penso gli abbiano dato ragione, almeno finché non sono cambiate le cose a livello generale, rendendo purtroppo l'anomalia correggese non più praticabile in un mercato degli spettacoli letteralmente impazzito e in balia delle multinazionali e dello show business.

A volte non ti viene un po' di nostalgia ripensando ai grandi eventi che ti hanno coinvolto come organizzatore di concerti a Correggio?
Come non avere nostalgia per quei tempi.... Penso però che non tutto sia perduto e che al Fuori Orario di Taneto di Gattatico si ripetano molti degli aspetti lodevoli che resero Correggio una delle capitali rock italiane. lo ritengo che non sia un caso che i soci fondatori che gestiscono il Fuori Orario abbiano radici simili, anagraficamente, culturalmente, territorialmente,e anche politicamente parlando,

Tornando più indietro, hai avuto modo di interagire con musicisti e componenti di gruppi musicali negli anni Ottanta (vedi Seltz, rassegne e concorsi). Vi era una differenza tra le band "cittadine" e le band della "bassa correggese"?
Devo dire che i gruppi correggesi erano numerosi, spesso ruspanti, determinati, molto ben organizzati e tosti. Avevano una loro "cifra" insomma e si sono sempre distinti a vario titolo nei concorsi che caratterizzarono quegli anni. Una differenza con le band di città c'era. Non arrivo a dire che fossero migliori dei reggiani, ma i correggesi si distinguevano, questo sì.

Rispetto all'oggi, continui a percepire segnali e nuovi fermenti o credi che anche la provincia soffra il momento culturale non esaltante?
Penso che ci sia un senso di smarrimento generalizzato che rende più complesso cercare un approdo per un fermento creativo che resta comunque ben presente. Ci sono molte opportunità, tecnologiche, strutturali, informative, ma forse pochi strumenti culturali e formativi per leggere correttamente la complessità dei nostri tempi e per cercare una strada percorribile, utile per "rivelarsi" al mondo circostante, per crescere. La provincia di Reggio non è fuori dal mondo, anche se ha le sue peculiarità. È un fenomeno tipicamente glocal, a mio modo di vedere. Un dato resta però il medesimo di sempre, vale a dire che serve coraggio, serve intraprendenza. E ne servono sempre di più.

Quali iniziative o politiche per incentivare l'espressione artistica in genere?
Di ricette sicure non ce ne sono. Una cosa è certa. L'attenzione dalle nostre parti rispetto alla cultura e ai giovani c'è sempre stata e sempre ci sarà. Non è poco e non va data per scontata; altrove non è così. Ma vanno messi al bando atteggiamenti sparagnini, il tentativo di farsi belli riempiendosi soltanto la bocca di "giovani, cultura, eccetera". Ai politici va chiesto di spendersi, di battersi per avere più risorse in un momento in cui le risorse pubbliche calano. Un mondo che non investe sui giovani e la cultura è un mondo in coma, che sta soltanto procrastinando la fine di se stesso.

martedì 12 maggio 2009

Segnalazione articolo di Mauro Ponzi

Segnalo al seguente link http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=La+Reggio+multiculturale&idSezione=2896 un interessante articolo di Mauro Ponzi.

Alberto Bigi candidato al consiglio comunale di Reggio Emilia nella lista del Partito Democratico

Alberto Bigi candidato al consiglio comunale di Reggio Emilia nella lista del Partito Democratico.

E’ sposato con Federica, operatrice culturale presso la sede espositiva di Palazzo Magnani e ha un figlio di 4 anni di nome Matteo.
Musicista e autore, insegnante, giornalista e opinionista sportivo, conduttore radiofonico e televisivo, più recentemente organizzatore di eventi culturali e dirigente Arci, è stato dal 2002 al 2007 membro del CDA della Fondazione “I Teatri” di Reggio Emilia.
Proviene dell’area politica degli ex Democratici (L’Asinello) nelle cui liste venne candidato alle elezioni regionali del 2000.
Conosciuto per essere il curatore della programmazione spettacoli di Festa Reggio, del Fuori Orario e di numerosi eventi a Teatro e al Palasport, è un ulivista della prima ora, da sempre impegnato nel perseguire la realizzazione del progetto politico del Partito Democratico.

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