Ringrazio sentitamente Sandro Parmiggiani (curatore delle attività espositive di Palazzo Magnani) che mi ha consentito di pubblicare sul blog un interessante pezzo scritto un paio di anni fa, in occasione del decennale della sede espositiva della Provincia di Reggio Emilia. Parmiggiani parte naturalmente dal bilancio dell'attività specifica di cui si occupa con lusinghieri risultati, per poi formulare alcuni interessanti e a mio modo di vedere condivisibili pareri di ordine piu generali sul tema del rapporto cultura/istituzioni.
Mi riconosco in pieno in molte delle cose che Sandro afferma, in particolare riguardo alla centralità del ruolo delle istituzioni culturali in una comunità nel formare cittadinanza attiva; un tema sempre attuale e su cui ritengo opportuno non abbassare mai la guardia, evitando cedimenti al facile consenso, all'effimero nella peggiore delle ipotesi.
Le istituzioni come motori fondamentali dello sviluppo culturale.
L'esperienza di Palazzo Magnani
Sandro Parmiggianidal catalogo "Palazzo Magnani 1997-2007"
(...) Non spetta certo a me esprimere qui giudizi sui risultati di questi dieci anni di attività espositiva di Palazzo Magnani. Posso solo dire che, fin dall’inizio, chiara, e condivisa dalla Provincia, era la rotta che, molto naturalmente, intendevamo darci. Ci sembrò giusto che il nostro programma presentasse un insieme unitario e variegato di proposte espositive: mostre di arte moderna e contemporanea, e di arte antica – in quest’ultimo caso, soprattutto di artisti che avessero operato nella nostra realtà: di qui le due esposizioni dedicate a Munari e a Tiarini, e quella, a suo tempo progettata, ma purtroppo non ancora realizzata, di Luca Ferrari –; esposizioni di fotografia, che dovevano avere pari dignità rispetto a quelle di pittura e scultura, individuando fin dall’inizio la fotografia come filone da privilegiare, soprattutto nella declinazione di uno sguardo che sappia tenere assieme ricerca artistica e testimonianza etica sulla verità del mondo – subito verificammo come la fotografia abbia un pubblico giovane, appassionato, colto, e siamo particolarmente orgogliosi che le mostre da noi presentate abbiano fatto di Palazzo Magnani, come viene ovunque ampiamente riconosciuto, un punto di riferimento nel settore a livello nazionale e internazionale –; mostre dedicate a settori spesso marginali nelle scelte espositive, quali la grafica e i libri d’artista, e alla conoscenza di quei tesori segreti che sono le collezioni, passioni private che prima o poi inevitabilmente diventano pubbliche virtù.
Né Palazzo Magnani poteva dimenticare quegli artisti della propria terra che avevano operato con esiti significativi e non banalmente replicanti altre esperienze; occorreva tuttavia rivolgere loro un’attenzione fuori dagli schemi consolidati, farli uscire dalle mura soffocanti del localismo, anche attraverso la realizzazione di cataloghi di qualità che presentassero contributi, sguardi nuovi, che ne mettessero in luce il valore non meramente particolare o secondario sulla scena artistica nazionale. L’ispirazione di fondo, nella scelta concreta delle mostre da proporre, era ed è sempre stata quella di evitare il ghetto delle tendenze, o la presunzione di imporne una a discapito dell’altra. Non ha voluto essere, Palazzo Magnani, di tendenza, non ha inteso battere la grancassa per nessun movimento particolare, ha sempre creduto che le mode non possano che avere il fiato corto e che l’etichetta di “nuovo” non sia, di per sé, garanzia di qualità. Ha, invece, amato presentare artisti dimenticati o nel tempo oscurati, che comunque avevano avuto un ruolo, anche glorioso, che non poteva restare confinato al passato, artisti avvolti in un silenzio che tuttavia continuava a parlare. Abbiamo cercato di fare mostre di qualità che non avessero, come destinatario, un pubblico ristretto.
(...) Certo, operare all’interno della macchina pubblica, come in questi anni mi è capitato di fare, significa essere sottoposti ai vincoli e alle procedure della pubblica amministrazione; spesso i tempi si sono inevitabilmente allungati e dilatati, certe relazioni internazionali hanno rischiato di essere compromesse da lentezze e ritardi; tuttavia, alla fine, con
molta diplomazia e qualche escamotage, tutto è stato ricondotto nei binari prestabiliti. A questo proposito, se mi venisse chiesto che cosa sia stato Palazzo Magnani, ricorrerei a una metafora: Igor Sikorsky, ingegnere aeronautico russo, osservava che il calabrone riesce a volare a dispetto del rapporto tra la forma e il peso del suo corpo e la sua superficie alare. Palazzo Magnani è riuscito a vivere per dieci anni, e talvolta non so tuttora io stesso spiegarmi come sia riuscito a farlo. C’è qualche ulteriore motivo di fierezza che non posso tacere. Convinti che una mostra, una volta smantellata, può continuare a parlare nel tempo attraverso il volume che l’accompagna e la documenta, Palazzo Magnani ha sempre dedicato un’attenzione e una cura particolari, che talvolta a qualcuno possono essere parse maniacali, alla realizzazione dei propri cataloghi di mostra, sempre cercando di farne uno strumento di approfondimento culturale capace di restare nel tempo, come testimoniano l’importanza degli autori di nuovi testi, di quelli inseriti nelle antologie critiche e del materiale iconografico che ci siamo sforzati di reperire. Altrettanta attenzione, pur con mezzi esigui di cui mi vergognerei se fossi chiamato a indicarne la consistenza, abbiamo riservato alla comunicazione delle nostre mostre, giacché un’esposizione che non sia adeguatamente resa nota resta clandestina, non può svolgere la funzione per cui è stata pensata e realizzata. La promozione dell’attività didattica, l’idea di avvicinare i bambini, gli adolescenti, i giovani all’opera d’arte, di renderla loro familiare e necessaria, di divulgare i tanti possibili modi in cui si può fare arte, il tentativo di gettare semi che sboccino in un nuovo pubblico di visitatori, ci ha indotto a dedicare molti sforzi affinché le nostre mostre fossero ampiamente prima presentate agli insegnanti e successivamente visitate dalle classi di studenti.
(...) Né, in sede di bilancio di questi dieci anni, posso dimenticare i rapporti internazionali costruiti, all’inizio superando diffidenze, e poi consolidati sulla base di una progressiva conoscenza e fiducia reciproche, con musei e istituzioni pubbliche e private straniere e italiane, che hanno reso possibile l’ottenimento di importanti prestiti e la realizzazione di una parte significativa della stessa attività espositiva, e che hanno fatto sì che mostre di Palazzo Magnani siano state successivamente presentate in altre sedi – tra le altre, cito l’antologica di Ghirri che è andata a Parigi e a Winterthur; quella di Valdés che è stata poi a Siena e Girona; quella recente di Estes presentata, dopo Reggio, al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Analogamente, la grande esposizione di Edward Steichen che Palazzo Magnani ospiterà da aprile a giugno 2008 sarà prima a Parigi (Jeu de Paume) e Losanna (Musée de l’Elysée), e poi a Madrid (Reina Sofia), mentre la mostra in preparazione dedicata a Joan Mitchell effettuerà, dopo Reggio, tappe in alcuni importanti musei dell’Europa. Utilizzando una terminologia economica, Palazzo Magnani non è più un nome che non evoca nessuna
particolare memoria o immagine, ma un marchio, un brand, che ha acquisito una riconoscibilità e una stima diffuse. È l’insieme di queste considerazioni che mi porta a dire che, al di là di un non ancora avvenuto riconoscimento ufficiale, Palazzo Magnani può definirsi un’istituzione culturale vera e propria, che sempre ha inteso avere un respiro di durata, una capacità di presenza e di diffusione nel tessuto della comunità. È facile peccare di immodestia, ma debbo confessare che la forza segreta che in questi anni mi ha mosso, quella che mi ha fatto superare difficoltà e fatiche, non dare peso alle chiacchiere dei detrattori, al di là del piacere del rapporto con artisti, critici, storici, appassionati, sia stata l’idea che le mostre che andavamo realizzando potessero lasciare un segno in chi aveva modo di vederle, di prenderne in mano i cataloghi. (...) Se si guardano i numeri, ci si accorge che quasi la metà dei visitatori viene da fuori Reggio; con le nostre
esposizioni, abbiamo dato un contributo a portare il mondo a Reggio, e Reggio nel mondo. Insomma, anche ciò che Palazzo Magnani è venuto facendo poteva essere uno strumento per cambiare la qualità della vita, per diffondere un po’ di speranza nel futuro e di eguaglianza di opportunità, per aiutare le persone a conoscere se stesse e gli altri diversi da loro, per sapere leggere il passato e cogliere i segni del futuro che s’annuncia.
Personalmente, ritengo che le istituzioni siano i motori fondamentali dello sviluppo culturale; sono profondamente convinto che in una realtà contino esperienze solide, che hanno una loro continuità nel tempo – come quella, così innovativa e capace di segnare la società, che a Milano fu rappresentata dal Piccolo Teatro –, e che il loro ruolo non possa essere surrogato, ma solo integrato, dalla promozione di una qualche “notte bianca” o di una qualche rassegna che pigramente s’adegui a rispecchiare le mode, i gusti di certe fasce di pubblico.
Il futuro di Palazzo Magnani è tutto da scrivere, in un libro in cui non ci sono più solo pagine bianche; le ristrettezze della finanza pubblica richiedono un concorso solidale di altre forze, anche private. Nonostante Bob Dylan ci abbia insegnato che non è necessario un meteorologo per capire da che parte soffia il vento, non so cosa mi riservi il futuro. Al di là del mio ruolo, so comunque che per le persone c’è una sorta di destino, una vocazione cui sono chiamate a dare risposta, finendo per darsi da fare, nella loro vita, operando ostinatamente, in un certo mestiere che sentono il loro, senza mettere in conto fatiche, amarezze, incomprensioni, mancati riconoscimenti.
La passione e la determinazione che ho messo nell’attività svolta a Palazzo Magnani, quello che qui ho fatto, continueranno a essere il mio modo di esistere.
Sandro Parmiggiani